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Sogni e bisogni


Dormire è un’esigenza fisiologica come respirare e nutrirsi, eppure molti genitori stremati dai risvegli notturni dei propri bambini cercano metodi e soluzioni pensando che se il bimbo si sveglia durante la notte, questo rappresenti un problema di sonno. Ciò accade perché non sono sufficientemente diffuse le indicazioni che riguardano la fisiologia del sonno dei neonati e dei bimbi nella prima infanzia.
In realtà il sonno infantile è qualitativamente e quantitativamente molto diverso da quello degli adulti. Tutto si decide nei primi tre anni di vita circa.
Non è questo lo spazio per potersi addentrare approfonditamente sull’argomento ma vorrei comunque dare alcune notizie su ciò che è normale, quando si parla di sonno infantile.
La maggior parte dei problemi nasce in quanto le aspettative culturali e i falsi miti della società in cui viviamo condizionano i genitori circa la propria libertà di scelta sul come accudire i propri figli di notte. William Sears (1) afferma che “la sistemazione migliore è quella dove tutta la famiglia dorme meglio”, suggerendo che dormire e gestire il sonno di tutta la famiglia è un atto comune che deve essere inteso come aspetto specifico di ogni famiglia, dando quindi piena autonomia nella decisione su tempi, modalità e luoghi di riposo.
Credo, inoltre, che un genitore possa essere agevolato e sostenuto nell’affrontare questo tema da una valida informazione circa la normalità del sonno dei bambini.
Per analizzare in maniera corretta questo argomento occorre adottare una prospettiva transculturale ed etnoantropologica; è necessario cioè scoprire cosa fanno i neonati di tutto il mondo. Ebbene nella maggior parte dei paesi della Terra, i bambini dormono insieme ai loro genitori, vengono allattati se si svegliano e questi comportamenti di accudimento NON sono considerati un problema.
Questo succede perché TUTTI i neonati hanno bisogno di contatto e di rassicurazione e utilizzano il pianto come segnale non verbale per richiamare i genitori in caso di bisogno, visto che non parleranno almeno fino al primo anno di vita.
Nella nostra cultura, basata sulla separazione fra madre e bambino e su modelli a basso contatto fisico, si pensa, invece, che il bambino debba imparare a dormire da solo il prima possibile, che non debba essere allattato di notte, che non debba essere addormentato in braccio sennò lo si vizia e che debba acquisire il prima possibile la tanto agognata indipendenza.
Ebbene non una di queste affermazioni trova un riscontro scientifico né antropologico. Inoltre questi comportamenti non sono stati tramandati dalla selezione naturale come comportamenti che risultano adattivi per la specie umana. Cioè non servono per la sopravvivenza.
E allora perché persiste l’idea che un bambino abbia problemi di sonno se ha frequenti risvegli notturni? Perché pochi diffondono i dati oggettivi che riguardano la normalità del sonno infantile.
Forse potrà essere d’aiuto un piccolo schema che riassuma ciò che è scientificamente dimostrato riguardo alla fisiologia del sonno dei bambini:
È normale e fisiologico che i bambini abbiano risvegli notturni di solito fino ai tre, quattro anni di vita.
I neonati e i bambini hanno innate tutte le competenze necessarie per acquisire spontaneamente ritmi fisiologici di sonno/veglia. Basta non interferire e conoscere la fisiologia per accompagnarli serenamente verso questo atto di crescita.
Quando nasce un bambino i suoi ritmi di sonno sono sincronizzati con quelli della madre e continuano ad esserlo nei mesi seguenti, se questi dormono vicini. Perciò la madre avrà un sonno migliore e più ristoratore se dorme vicino al suo bambino e se lo allatta al seno.
In molte culture è normale che i bambini dormano con i genitori senza conseguenze patologiche di nessun genere sia a breve che a lungo termine, anche il rischio di SIDS risulta minore. (2)
L’allattamento al seno a richiesta è tale se effettuato anche di notte, anzi di notte il latte di mamma è ancora più facile da assumere perchè aumentano le concentrazioni materne di prolattina e ossitocina, gli ormoni dell’allattamento.
Fino al terzo mese di vita il bambino non attraversa stadi di sonno profondo né secerne dosi stabili di melatonina (un ormone che induce il riconoscimento e l’instaurarsi dei ritmi luce/buio), per cui non ha senso pensare che “scambia il giorno per la notte”.
Esistono libri in commercio che suggeriscono metodi per far dormire i bambini: sono privi di qualsiasi riscontro scientifico e molte associazioni di pediatri si sono espresse sulla loro pericolosità. Nessun bambino è uguale a un altro e il miglior modo di dormire uguale per tutti non esiste!
I genitori sono liberi di scegliere modalità e luoghi in cui tutta la famiglia dorme meglio.
Il sonno è un’esigenza fisiologica come mangiare, bere e muoversi: tutti i bambini, a loro modo, prima o poi, mangiano, e bevono da soli, camminano e dormono senza bisogno del sostegno dei genitori. Si tratta di una conquista di autonomia graduale e rispettosa dei tempi di ogni bambino e della fisiologia.
I bambini che hanno effettivi disturbi del sonno non sono quelli che si svegliano durante la notte ma quelli che non riescono a riaddormentarsi anche per ore al loro risveglio notturno.
Rispondere prontamente ai bisogni del bambino ed ai suoi segnali sia di notte che di giorno non lo vizia ma costituisce la base per la sua autostima e per la fiducia negli altri anche in età adulta.
Dormire con i propri figli fa parte delle cosiddette cure prossimali e cioè di quei comportamenti di attaccamento fra madre e bambino che servono anche come regolatori delle funzioni biologiche del bambino quali respirazione, temperatura e della secrezione ormonale materna (3).
Vorrei, infine, ricordare che numerose associazioni di pediatri (vedi nota 5) hanno segnalato i rischi dei metodi che prescrivono di ignorare il pianto notturno dei bambini.
Lo stress protratto nei bambini, infatti, può provocare rilascio eccessivo di cortisolo (4), un ormone che può essere responsabile in alcuni casi di grosse patologie.
Da un punto di vista psicologico, le difficoltà notturne necessitano di rassicurazione e contatto fisico esattamente come di giorno, e il pianto DEVE rappresentare un segnale per il bambino che, ancora ancorato alla comunicazione NON verbale, esprime disagio e richiama l’attenzione di chi si prende cura di lui.
Non si deve mai ignorare il pianto dei bambini, casomai la difficoltà è quella di interpretarlo, ma questa è un’altra cosa. Purtroppo, l’atteggiamento di chi (5) fornisce un metodo senza citare neanche una fonte bibliografica, né fornire in 11 anni dalla pubblicazione neanche uno studio scientifico che ne provi la validità, dimostra che il suo suggerimento NON ha valore scientifico e che si tratta soltanto di una delle tante operazioni commerciali che vengono rifilate a genitori perlopiù ignari dei rischi connessi, iniziative forti dei pregiudizi culturali di appartenenza e di una società che non tutela la necessità di una presenza costante dei genitori accanto ai loro figli, almeno nei primi anni di vita.
Penso che la soluzione non sia quella di ignorare i bisogni dei bambini o di rileggerli in termini di presunta conquista di autonomia e indipendenza, ma piuttosto quella di cominciare a domandarsi che costo hanno queste pratiche di accudimento a basso contatto sia a livello affettivo individuale, che come esempio sociale.
Nei paesi dove i bambini dormono con i genitori e vengono allattati a lungo i genitori lavorano e hanno attività fuori di casa come abbiamo noi, quindi con una buona dose di informazione, buonsenso e organizzazione, tutti ce la possiamo fare se decidiamo di adottare queste scelte di accudimento per i nostri figli.

Alessandra Bortolotti

 

Bibliografia:

1. W. Sears, (2007) Genitori di giorno e di notte, La Leche Legue

2. Balsamo E. (2007), Sono qui con te, Il leone verde Edzioni, Torino.
Moschetti A.M., Tortorella M.L. (2009), Come dormono i bambini del mondo – Scarica articolo

3. Moschetti A.M., Tortorella M.L (2006), Vengo anch’io? Sì, tu sì – Scarica articolo

4. Gerhardt S. (2006), Perché si devono amare i bambini, Raffaello Cortina Editore, Milano.

5. Mi riferisco al metodo per far dormire i bambini esposto nel libro di Estivill e De Bèjar (1999),”Fate la nanna”, Mandragora Edizioni.
Questo metodo suggerisce di far piangere il bambino ad intervalli sempre crescenti per “disabituarlo al pianto notturno”. È un metodo potenzialmente pericoloso che è sconsigliato da numerose associazioni di pediatri e psicologi si vedano a tal proposito i seguenti link: leggere e fare, controlled crying, crudele lasciar piangere.

 

 


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